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Tag: Orvieto

Trasformare la caserma Piave nel super museo italiano. La proposta di Franco Raimondo Barbabella

Il progetto prevede di utilizzare lo spazio per esporre le migliaia di opere d’arte che si trovano nei magazzini dei maggiori musei.

Di Alessandro Maria Li Donni

La domanda delle domande a Orvieto è, cosa fare alla ex-caserma Piave? I destini di un pezzo fondamentale della città sono strettamente legati alle fortune o sfortune politiche degli amministratori. Ne sono passati di sindaci e quel complesso è sempre lì, con sempre più vetri rotti, inagibile nella gran parete, utilizzato come scuola nella parte più “nobile”, quella della Palazzina Comando, poi con gli uffici comunali e ora, ultima sortita, nel suo pezzettino di caserma la Usl vorrebbe impiantarci una Rems, di cui tanto si è parlato in queste ultime settimane, a partire dal 29 novembre. L’ultima proposta in ordine di tempo, e probabilmente la più affascinante arriva dal consigliere Franco Raimondo Barbabella che ha presentato una mozione con un acronimo sicuramente più beneaugurante di quello della Usl: MOST. Ma di cosa si tratta? In soldoni e per brevità si tratterebbe di andare a raccogliere le opere attualmente nei magazzini dei principali musei italiani per esporli a Orvieto. Nella mozione presentata per la discussione in consiglio Franco Raimondo Barbabella spiega che “c’è un immenso patrimonio artistico conservato nei depositi di musei, enti e fondazioni, che non è reso fruibile. Un immenso patrimonio, un tesoro tenuto ‘in riserva’, come si dice oggi, non accessibile al pubblico in quanto ritenuto di minor interesse (spesso per ragioni che non c’entrano con il valore artistico e storico, ad esempio per mancanza di spazi adeguati) rispetto alle opere che vengono rese fruibili nelle sale adibite alle esposizioni”.

Tra l’altro, come ricorda proprio Barbabella, “ci si sta avvicinando ad un appuntamento molto significativo che cadrà nel 2023: i 500 anni dalla morte di Luca Signorelli e di Pietro Vannucci. Poter fare di questo appuntamento, nel quadro di celebrazioni che si annunciano fin da ora come molto importanti, l’occasione di lancio di un progetto operativo con cui si va alla realizzazione di una iniziativa come quella che qui si prospetta, sarebbe la dimostrazione che anche le celebrazioni non si fermano all’immediatezza e entrano nella logica che Fernand Braudel avrebbe chiamato della lunga durata e che per le grandi operazioni culturali è certamente la logica giusta”.

Esporre i propri “tesori” è sempre più necessario da una parte per ampliare l’offerta e dall’altra per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più attento e sensibile. Il punto debole, è di solito, è quello delle risorse economiche queste sempre meno disponibili. Per ovviare Barbabella ipotizza, “una vera e propria impresa culturale del tutto nuova, della quale la parte espositiva, che è mobile e ciclica (nel senso che proviene e ritorna ai musei, a meno che essi non decidano altrimenti), è l’occasione intorno alla quale ruota poi tutta un’altra serie di attività. Un’impresa dunque, un’organizzazione e una conduzione aziendale, una logica produttiva”. In termini moderni quest’impresa culturale potrebbe andare anche ad aprire nuovi sbocchi professionali e soprattutto essere occasione di “promozione della conoscenza del patrimonio artistico e culturale diretto ad alunni e studenti, corsi di formazione delle guide turistiche e degli operatori impegnati nella gestione dei musei; stages in collaborazione con le università; – spiega sempre Barbabella – riscoperta del complesso delle attività artigianali connesse con il restauro delle opere d’arte e con l’allestimento di mostre e di esposizioni permanenti; studio e addestramento all’uso del digitale in funzione della fruizione e della conservazione del patrimonio; attivazione di un Its finalizzato alla formazione di personale specializzato nel settore delle arti. Sono solo alcuni titoli appena abbozzati”.

E’ chiaro che anche solo per iniziare a progettare serve una forte spinta in tal senso da parte del governo e su questa strada sembra andare il neo-ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che recentemente ha lanciato l’idea di aprire gli “Uffizi 2” proprio per recuperare alla fruizione le tante opere ancora nascoste e per creare una vera e propria rete culturale e di collaborazione tra vari Enti, Regioni e Comuni.

Un’altra domanda potrebbe essere, perché a Orvieto? Anche in questo caso lo spiega in maniera esauriente Barbabella, “Orvieto appare come la città naturalmente vocata ad ospitare un progetto con queste caratteristiche e capace di svolgere le funzioni indicate.

Anzitutto per storia e caratteri distintivi della città. Qui c’è un condensato della storia dell’Occidente europeo dal Villanoviano al Novecento. Orvieto è di per sé città d’arte. C’è un unicum di natura e cultura che potremmo addirittura definire esemplare per la capacità umana di adattarsi all’ambiente che la natura ha preparato trasformando i problemi da superare in elemento di forza fino al risanamento e alla valorizzazione partita negli anni ottanta del secolo scorso”. Non solo, c’è anche la grande occasione di restituire alla vita attiva della città un pezzo importante del centro storico, la Caserma da troppo tempo desolatamente definita “ex”. Scrive il consigliere Barbabella nella sua mozione, “c’è anzitutto, come sede ideale, la ex Caserma Piave, un complesso di notevoli proporzioni, che sorge su un’area di 42.200 m2 all’ingresso sud-est della città, con 5 edifici di complessivi 41.000 m2 di superficie coperta. Una costruzione degli anni trenta del Novecento e dismessa fin dagli anni novanta, molto più flessibile di quanto non si creda e su cui esiste già un progetto di massima per la sua valorizzazione che si tratta di riscoprire e vedere in che modo possa essere reso utile. Ci sono poi, per un ideale sistema integrato, edifici dislocati nei diversi quartieri della città, dalla zona Duomo a San Giovenale e a San Giovanni, da San Francesco a San Paolo, che nel loro insieme prefigurano un sistema sia direttamente connesso alla funzione museale sia indirettamente utilizzabile per le funzioni di supporto o collaterali. In realtà è la città intera che si presta ad ospitare un progetto così ambizioso e così significativo”.

Insomma è una nuova grande sfida per la città che deve assolutamente porsi come vera “Porta dell’Umbria” e portare a proprio vantaggio la presenza di quelle infrastrutture che ad oggi sono una ferita per il territorio ma con potenziali di sviluppo incredibili e cioè l’autostrada e la linea direttissima. Troppo presto, o meglio fin da subito, Orvieto è uscita dai radar della grande partita delle fermate dei Frecciarossa nelle stazioni intermedie al servizio di territori più vasti. La Regione ha pensato a Perugia, giustamente, mentre per il resto ha in mete il finanziamento di strutture fuori dalla Regione, a Orte o in Toscana. Orvieto? Neanche a parlarne. C’è poi la grande partita del PNRR, un’occasione che a Orvieto è stata sfruttata, ad oggi, in modo discutibile e poco. La Piave è un’altra ferita aperta che potrebbe trasformarsi in un gioiello, in un esempio di resilienza per l’intero Paese. Ma ne saremo capaci? Questa è la reale sfida che lancia il consigliere Franco Raimondo Barbabella. Il rischio, ora, è di “colorare” la proposta politicamente, di etichettarla, e quindi bocciarla solo perché proveniente dalla parte sbagliata.

Orvieto così rischia di perdere un’altra occasione, l’ennesima, e i treni, è bene sempre ricordarlo, non sempre passano e se si perdono poi è inutile piangere sul latte versato incolpando Perugia o Roma. Prima bisogna provarci in maniera unitaria e seria e poi, nel caso in cui si dovesse perdere, allora ci si può lamentare e presentare le proprie rimostranze anche in maniera piuttosto accesa a chi di dovere.

Mari confermato alla guida della fondazione Cassa di risparmio di Orvieto. Ora una nuova fase

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L’ente è reduce da un periodo pessimo nel corso del quale non ha incassato alcun dividendo dalla sua partecipazione in Cassa spa

La fondazione ha un patrimonio di 58 milioni e 282 mila euro.

L’ente è reduce da un periodo pessimo nel corso del quale non ha incassato alcun dividendo dalla sua partecipazione in Cassa spa

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Un recente lodo arbitrale costringe la Popolare di Bari a pagare alla fondazione una penale di quattro milioni

Mario Mari rimarrà presidente della fondazione Cassa di risparmio di Orvieto anche nel prossimo quadriennio. Lo ha deciso il Consiglio di indirizzo dell’ente in occasione dell’approvazione del bilancio 2021. Un bilancio che presenta valori soddisfacenti. La fondazione ha infatti chiuso il 2021 con un avanzo netto di gestione pari a un milione e 194 mila euro incrementando sia il patrimonio netto dell’ente che ha raggiunto l’importo di 58 milioni e 682 mila euro sia i fondi erogati che hanno superato i due milioni di euro. Nel corso del 2021 la fondazione ha portato a termine una serie di interventi nel pieno rispetto di quanto programmato, con la pubblicazione di tre bandi, attraverso i quali sono stati sostenuti 54 fra progetti e iniziative, e con il finanziamento di alcuni significativi progetti propri. Per l’ente guidato da Mari, professore ordinario di Economia aziendale e direttore del dipartimento di Economia dell’università di Perugia, si annuncia una nuova fase ora che la Cassa di risparmio di Orvieto, di cui la fondazione detiene quote di minoranza, si accinge ad essere completamente controllata dal Mediocredito Centrale e diventare quindi una banca pubblica a tutti gli effetti Una svolta a cui la fondazione guarda con molta speranza dopo che, nel lungo periodo in cui la Cassa è stata controllata dalla Banca Popolare di Bari, la stessa fondazione non ha mai incassato alcun dividendo per la propria partecipazione di minoranza.

Intanto un lodo arbitrale ha disposto che  la Banca Popolare di Bari dovrà pagare alla fondazione una penale di quattro milioni. Si tratta di un vecchio contenzioso relativo ai parti parasociali” stipulati nel 2012, al momento cioè in cui la Popolare acquisì il controllo di maggioranza della Cassa. Quegli accordi prevedevano che la Popolare si sarebbe dovuta impegnare ad acquistare le quote di minoranza che la fondazione detiene nella Cassa, pari al 27% del capitale, in ogni momento in cui la fondazione lo avesse richiesto, ma l’obbligazione non venne mai adempiuta dall’istituto pugliese.