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Fonderie di Assisi, nessun pericolo per la salute di lavoratori e residenti

Il Tar dell’Umbria ha annullato l’ordinanza del Comune che disponeva l’obbigo a carico dell’azienda di ridurre le emissioni di odori

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Il Tar dell’Umbria ha accolto il ricorso delle Fonderie di Assisi (ex Fonderie e Officine Meccaniche Tacconi Spa) e annullato l’ordinanza che il Comune di Assisi aveva emanato ad agosto 2021 e che disponeva di adottare ulteriori misure per ridurre gli odori denunciati dai cittadini residenti nelle immediate vicinanze dell’impianto.

Il Tribunale amministrativo regionale ha stabilito che l’Ordinanza del Comune di Assisi n. 217 del 27 agosto 2021 è stata assunta senza i presupposti giuridici di pericolo per la salute e l’incolumità pubblica e di degrado ambientale.

Oltre alla mancanza dei presupposti giuridici di emergenza sanitaria o pericolo attuale e imminente per la salute e l’incolumità pubblica, la sentenza del Tar ha evidenziato un’anomalia legata alla proporzionalità, ovvero l’inadeguatezza tra i tempi concessi e la realizzazione degli interventi richiesti che peraltro avrebbe comportato l’adozione di una tecnologia di produzione completamente diversa da quella presente in F.A. spa e, più in generale, dalla totalità delle fonderie esistenti.

“Si tratta per noi di un risultato atteso – ha sottolineato Alvano Bacchi, presidente di F.A Group – poiché l’azienda ha sempre agito e gestito gli aspetti ambientali in piena conformità alla norma ISO 14001 fin dal 2004 e alle disposizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale di cui è dotata”. Nello stabilimento di Santa Maria degli Angeli F.A Group realizza pezzi meccanici, frutto del processo di fusione della ghisa e dell’acciaio, impiegati dalle principali case automobilistiche mondiali.

“La sentenza del Tar – ha aggiunto Bacchi – ha stabilito che l’attività della nostra azienda non pregiudica la salute dei lavoratori né quella dei cittadini. Siamo dispiaciuti che un’azienda del territorio, che si trova già in una situazione delicata tra la gestione del concordato, l’aumento del costo dell’energia e il caro dei materiali e delle materie prime, abbia dovuto fronteggiare anche l’ostilità delle istituzioni locali. Tre anni fa sono stato chiamato a gestire il risanamento di questa azienda vista la grave crisi in cui versava. Un’azienda che, attualmente, tra lavoratori diretti e indotto, occupa oltre 800 persone. Questa realtà dovrebbe essere considerata una ricchezza per il territorio sulla quale investire e che invece da questa vicenda ha subito anche gravi danni sul piano commerciale oltre che su quello dell’immagine.

Tutto quanto accaduto – conclude Bacchi – non fa, tuttavia, venire meno l’impegno dell’azienda a migliorare e limitare ulteriormente le emissioni odorigene, come testimonia anche la partecipazione al progetto “LIFE-2021-SAP-ENV-ENVIRONMENT Circular Economy, resources from Waste, Air, Water, Soil, Noise, Chemicals, Bauhaus”, in fase di valutazione da parte della Comunità Europea, e la collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Perugia sul tema dell’Ecoefficienza produttiva. A breve convocheremo un tavolo istituzionale a cui saranno invitati i rappresentanti della Regione Umbria, del Comune di Assisi e dei Sindacati dei lavoratori per un confronto stabile sul presente e su futuro di una importante realtà economica e industriale nel nostro territorio e a cui, ad oggi, non è pervenuto alcun aiuto nonostante i fondi messi a disposizione dal Pnrr e nonostante le evidenti necessità di un’azienda in concordato”.

 

Treofan, sul tavolo due manifestazioni di interesse

La prima prevede l’avvio di una attività da parte di una azienda che non opera nella di produzione di film da polipropilene. La seconda è di una azienda lituana

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Sono due le manifestazioni d’interesse per la Treofan di Terni, nell’ambito del percorso di reindustrializzazione del sito posto in liquidazione, nel febbraio 2021, da Jindal. Entrambe saranno analizzate nel mese di maggio dalle strutture tecniche e finanziarie del ministero dello Sviluppo economico, in stretta collaborazione con la Regione, per valutarne la consistenza, a partire dalla capacità finanziaria delle società a capo dei due progetti. A riferirlo sono le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, dopo aver partecipato ad una riunione convocata dallo stesso Mise per un aggiornamento della situazione. Presenti anche la Regione, il liquidatore Filippo Varazi, l’ufficio legale aziendale e Confindustria Umbria. In merito alle due manifestazioni d’interesse, la prima, «coadiuvata da una due diligence – spiegano i sindacati in una nota -, prevede l’avvio di una attività da parte di una società che opera in un settore non in continuità con l’attività di produzione di film da polipropilene svolta da Treofan». Si tratta – secondo quanto si apprende – della Hgm, operatore italiano di servizi per le telecomunicazioni. Il progetto prevede l’impiego di una «parte consistente» dell’organico ad oggi ancora presente, circa una settantina di persone, che sarà oggetto di formazione professionale. La seconda – che, sempre in base a quanto si apprende, proviene dalla Lituania – è stata avanzata da un’altra società impegnata nel settore chimico plastico. Questa intenderebbe «riavviare gli impianti di produzione presenti nello stabilimento – spiegano Filctem, Femca e Uiltec -, attraverso un adeguato revamping, per acquisire un ruolo nel mercato del film, con un progetto che vedrebbe un impegno occupazionale che va oltre le 108 unità Treofan ancora presenti». Nel percorso previsto nel Pnrr regionale per il rilancio del polo chimico in chiave di ‘Sostenible Valley’, sarebbe inoltre coinvolta la Novamont, già presente nel sito, che creerebbe ulteriore occupazione aggiuntiva sul fronte della ricerca dei biomateriali, progetto che però richiede tempi più lunghi. «Come organizzazioni nazionali – spiegano Filctem, Femca e Uiltec – abbiamo chiesto al tavolo di vagliare attentamente tutte le possibili soluzioni, valutando quella migliore in termini occupazionali e di prospettiva futura, per i lavoratori di Treofan prima di tutto, ma complessivamente per il futuro del polo chimico». Il tavolo è stato riaggiornato a fine maggio.

 

Il Mediocredito Centrale comprerà la Cassa di risparmio di Orvieto

L’istituto, controllato da Invitalia, ha presentato una offerta da 27,96 milioni per la Cro

L’obiettivo è anche quello di sostenere le dissanguate finanze della Banca Popolare di Bari che detiene la quote di maggioranza della Cassa.

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Una “operazione di sistema” per ridurre il rosso della Banca Popolare di Bari e far recuperare vitalità e competitività all’istituto pugliese, ma anche alla sua controllata Cassa di Risparmio di Orvieto. Il prezzo è stato fissato in 27,96 milioni. E’ questa la cifra a cui la Banca Popolare di Bari si accinge a mettere in vendita la Cassa di risparmio, o meglio, le quote di maggioranza di essa, pari al 73,5 per cento del capitale che detiene dal 2012 mentre quelle di minoranza sono sempre state nel controllo della fondazione Cassa di risparmio di Orvieto. A presentare l’offerta per rilevare la banca orvietana è il Mediocredito Centrale che controllo a sua volta la Popolare. L’operazione viene anticipata nella bozza di bilancio predisposta per l’assemblea di Popolare di Bari spa che si terrà domani quando potrebbe essere ufficializzata la dismissione della Cassa. La pesantissima situazione finanziaria della Popolare di Bari aveva portato prima al suo commissariamento e poi, nel 2020, all’ingresso nel capitale sociale del Mediocredito Centrale, guidato dall’amministratore Bernando Mattarella che aveva cosi rafforzato un polo bancario pubblico con il controllo dell’istituto pugliese e di quello orvietano. La gestione finanziaria continua ad essere molto faticosa a causa dei conti disastrati della Popolare. A favore dell’operazione si è espresso anche il ministro dell’Economia Franco, in audizione alla commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario. Il bilancio del 2021 della Popolare aveva infatti registrato perdite per 171 milioni mentre quello della Cassa di risparmio di Orvieto si è chiuso con perdite per mezzo milione, un miglioramento molto marcato dopo i forti passivi che si erano accumulati sotto la gestione di Bari. Adesso il Mediocredito vuole prendersi tutta la Cassa, dando corso a quella visione strategica che era già emersa in modo evidente con la presentazione dell’ultimo piano industriale. Per la Popolare si pensa ad un futuro ruolo di “banca del sud” che, come indicato anche a livello parlamentare, dovrebbe avere un ruolo importante nell’implementare i progetti del Pnrr mentre per Orvieto si punta ad un ruolo nelle regioni dell’Italia centrale in cui già operano le sue filiali. Il passaggio sotto il Mediocredito comporterà anche una nuova organizzazione interna per la Cassa di risparmio che sarà strutturata attraverso due unità di business, la capital light divisione la tech and banking services.

Tesei: con il Pnrr già finanziati progetti per un miliardo e 600 milioni

La presidente della Regione ha illustrato l’andamento del lavoro sulle prime iniziative chiuse in Umbria.

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La presidente della Regione Donatella Tesei ha incontrato le parti sociali per illustrare l’andamento del lavoro sul Pnrr e lo stato di avanzamento del lavoro. “E’ stato un incontro molto proficuo” ha detto al termine. “Abbiamo fatto – ha spiegato Tesei – il punto dei progetti già finanziati, per un miliardo e 600 milioni di euro, tra infrastrutture ed altre missioni previste dal Pnrr. Sicuramente ci sarà un prosieguo di condivisione anche su singole tematiche con tutte le parti sociali. Devo dire che l’interlocuzione avuta è stata molto positiva”.

 

Per la fondazione Cassa di risparmio di Perugia un bilancio al top

L’ente guidato da Cristina Colaiacovo presenta un bilancio con un avanzo di 17,7 milioni

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Saranno erogati oltre 12 milioni a favore del territorio

Un avanzo di esercizio pari a 17,7 milioni di euro, circa 3 milioni in più rispetto al 2020, un avanzo che qualifica l’esercizio 2021 come il migliore negli ultimi cinque anni; il patrimonio netto sale a quota 446 milioni; il totale dell’attivo patrimoniale è pari a 514 milioni, in crescita di 14 milioni rispetto ai 500 del 2020.
Questi i dati salienti del bilancio di missione e di esercizio 2021 della fondazione Cassa di risparmio di Perugia approvato dal Comitato di indirizzo nell’ultima seduta.Centrato l’obiettivo del rendimento annuo, peraltro fissato al 4% rispetto al 3% su cui era stata costruita la precedente asset allocation strategica, la pianificazione finanziaria approvata nel 2019: la performance annuale del portafoglio finanziario è infatti del 4,45%, con un accrescimento del valore del patrimonio di 14,8 milioni di euro. I proventi totali sono di 25 milioni. Nell’anno del suo trentennale la Fondazione fa registrare tutti i numeri in crescita con l’ottimo risultato di gestione che ne rafforza ulteriormente la solidità e l’operato, creando i presupposti per mettere a disposizione 11,8 milioni per l’attività erogativa 2022, ai quali si aggiungono ulteriori 1,8 milioni grazie alla riduzione al 50% dell’imponibile dei dividendi prevista dalla Legge di Bilancio 2021. Analizzando le risorse destinate ai settori rilevanti, dopo un periodo in cui ha subito una restrizione a causa delle priorità imposte dall’emergenza sanitaria, nel 2021 il settore dell’Arte, attività e beni culturali riceve la quota più alta, pari ad oltre 2,7 milioni (circa il 31%), seguito da sviluppo locale con oltre 2,2 milioni (25%), educazione, istruzione e formazione con circa 1,7 milioni (19,9%), ricerca scientifica e tecnologica con 1 milione (12%), volontariato, filantropia e beneficenza con 912mila euro (10,4%). “I positivi risultati del Bilancio 2021 – afferma la presidente della fondazione Cassa di risparmio di Perugia, Cristina Colaiacovo – premiano le scelte strategiche che abbiamo compiuto in questo ultimo biennio”.

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L’azienda Rampini di Passignano e la Baccarini sperimentano celle all’idrogeno per gli autobus

Test su autobus a cella combustibile alimentati a idrogeno, accordo con la Sapio di Monza

Test su autobus a cella combustibile alimentati a idrogeno e sistemi di rifornimento ottimizzati per i mezzi di trasporto pubblico.

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Test su autobus a cella combustibile alimentati a idrogeno e sistemi di rifornimento ottimizzati per i mezzi di trasporto pubblico. È il cuore del memorandum di intesa siglato tra Gruppo Sapio, in collaborazione con il Gruppo Baccarelli in Umbria, e la Rampini Carlo. L’obiettivo dell’Unione Europea di ridurre significativamente le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 e di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 può essere raggiunto solo introducendo politiche più ambiziose volte a ridurre l’indipendenza dai combustibili fossili e in sinergia con l’impegno di azzerare l’inquinamento.
Proprio partendo da questo obiettivo è nata l’intesa tra Sapio e Rampini, che punta a sostenere e promuovere lo sviluppo del settore rendendo disponibili e supportando la filiera italiana nelle attività volte alla transizione energetica ed in particolare alla mobilità sostenibile. Con la firma del memorandum Sapio, leader di mercato nella produzione e approvvigionamento di idrogeno da 100 anni che vanta un’esperienza consolidata lungo l’intera catena del valore e opera in completa sicurezza attraverso una rete capillare su tutto il territorio, metterà a disposizione le proprie competenze nell’ambito della produzione, trasporto, distribuzione e applicazioni finali per sviluppare soluzioni che consentano all’idrogeno di posizionarsi come vettore energetico sostenibile e sicuro.
“Il futuro del nostro Paese inizia da ciò che possiamo realizzare oggi” – ha dichiarato Alberto Dossi, presidente del gruppo Sapio – “Rampini è una società leader nella progettazione e produzione di veicoli elettrici e a idrogeno e come Sapio siamo orgogliosi di questa importante collaborazione che rappresenta, ancora una volta, un chiaro esempio dell’impegno che intendiamo mettere a disposizione per contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. Sapio darà il suo apporto di esperienza e competenza nella produzione di idrogeno, ingegnerizzazione e realizzazione di stazioni di rifornimento H₂ per ogni genere di veicolo”.

Il Gruppo Sapio, fondato nel 1922 con sede a Monza, opera nel settore dei gas industriali e medicinali e nell’homecare su tutto il territorio nazionale e, all’estero in Francia, Germania, Slovenia, Turchia e Spagna. Con un fatturato di circa 700 milioni di euro e 2.250 dipendenti, produce, sviluppa e commercializza gas, tecnologie innovative e servizi integrati per il settore industriale. La storia della Rampini Carlo S.p.A. comincia nel 1945 in Umbria, a Passignano. Da oltre 70 anni in Rampini realizza gioielli della meccanica italiana, sviluppando prodotti ad alto contenuto tecnologico e sempre più ecologici. Una progettazione sempre innovativa ha caratterizzato e caratterizza tuttora il nostro percorso di crescita. Una crescita costante, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, ha portato noi di Rampini a diventare una tra le più importanti realtà produttive nazionali. Un’azienda familiare ben consolidata, modello esemplare della piccola e media industria italiana.

Nella foto il direttore generale della Rampini Fabio Magnoni.

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Crisi tabacco, incontro tra produttori e sindacati


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Crisi del tabacco, incontro tra produttori e sindacati

La Opta, Organizzazione produttori tabacco ha accolto la richiesta di confronto con i sindacati

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La Opta, Organizzazione produttori tabacco ha accolto la richiesta dei sindacati agricoli dell’Umbria Flai, Fai e Uila di incontrarsi per un confronto sulla grave situazione del settore tabacco che per il momento non consente di programmare la produzione storica di circa 13 milioni di chilogrammi dislocata principalmente nell’Alto Tevere dell’Umbria e nel Veneto. Ad annunciarlo è Libero Valenti, presidente Opta che ribadisce: “Forte è la preoccupazione per i contratti da tempo preannunciarti dagli acquirenti, multinazionali del settore storicamente attive nel mercato umbro e nazionale che non sono stati ancora tutti perfezionati. Tra le criticità del settore è da evidenziare il tema del prezzo del prodotto che verrà conferito dopo la campagna di produzione oramai alle porte – prosegue Valenti – È noto, infatti, che diversi e rigorosi studi hanno consentito di disporre di riferimenti attendibili sugli aumenti dei costi medi di produzione che sono la base per discutere le proposte formalizzate. Gli agricoltori, pertanto, non se la sentono di rischiare l’avvio della produzione avendo la preoccupazione di lavorare in perdita e per di più con una evoluzione dei prezzi in particolare di fertilizzanti, gasolio e gas”.
Questo è il periodo, sottolinea Opta, in cui gli agricoltori dovrebbero essere impegnati nella semina del tabacco nelle serre per poi procedere in primavera ai trapianti ma, a fronte delle forti incertezze, molti di loro non si sono ancora attivati per la campagna 2022.
Il riconoscimento di un prezzo equo e il rischio condiviso con gli acquirenti, con la stipula di accordi pluriennali, darebbero fiducia al comparto che vuole continuare nella produzione di tabacco confermando tutti gli impegni occupazionali.

Anche i rappresentanti sindacali, FLAI FAI E UILA, nell’apprezzare il confronto “confermano la preoccupazione dei lavoratori, operai ed impiegati del settore per il futuro del proprio posto di lavoro ma al contempo la ferma volontà di rimanere a lavorare nel settore. Dopo molte riunioni sindacali la posizione dei lavoratori è chiara e coesa: salvaguardare produzione e filiera, che ricomprende anche i lavoratori attivi presso il Consorzio TTI, oltre che tutto l’attuale indotto”.
“Le trattative per il perfezionamento dei contratti – dichiara Valenti – non sono interrotte e questo lascia ben sperare. Certo è che gli accordi che verranno stipulati dovranno garantire necessariamente una sostenibilità economica per le imprese altrimenti sarà a rischio la coltivazione di molti ettari di tabacco e conseguentemente le giornate di lavoro”. La necessità di avere al più presto risposte sul riconoscimento di un prezzo giusto non è la sola incertezza da risolvere in quanto sono attese risposte anche sulla prosecuzione delle attività del settore.

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Autotrasporto, la crisi non è finita

Trasporti, la crisi non è finita

Marina Gasparri, responsabile trasporti Cna, chiede correttivi al taglio di 25 centesimi al litro per il gasolio

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“Sul taglio di 25 centesimi al litro delle accise sul gasolio abbiamo chiesto da subito l’adozione di correttivi. Dobbiamo evitare, infatti, che le imprese di autotrasporto, oltre al danno, subiscano anche la beffa”. A parlare è Marina Gasparri, responsabile regionale di CNA Fita trasporti. “L’introduzione di questo ‘sconto’, paradossalmente, sta determinando un danno alle imprese dell’autotrasporto, in particolare a quelle che più hanno investito in mezzi a minore impatto ambientale – dichiara Gasparri -per un meccanismo tecnico legato al recupero delle accise, infatti, il taglio non porta benefici reali alle imprese che utilizzano mezzi pesanti almeno Euro 5. Si tratta di un elemento che alcuni committenti non tengono in alcuna considerazione, immaginando che la misura del governo abbia risolto per sempre il problema del caro carburante di tutti gli autotrasportatori. Per questo, come associazione, abbiamo chiesto dei correttivi e soprattutto rassicurazioni sul fondo di 500milioni di euro stanziato a sostegno dell’autotrasporto dal decreto Ucraina. Una prima risposta positiva è arrivata ieri – aggiunge Gasparri -: l’incontro di tutte le associazioni del trasporto con la vice ministra Bellanova si è concluso con l’impegno di destinare i 500 milioni di euro proprio a chi è rimasto escluso dagli effetti del taglio di 25 centesimi/litro al prezzo del gasolio, e quindi alle imprese di autotrasporto merci conto terzi con veicoli Euro 5 ed Euro 6 oltre le 7,5 tonnellate, che altrimenti rimarrebbero penalizzate.” Il decreto con cui verranno messere a disposizione queste risorse verrà pubblicato entro 30 giorni.

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Cassa di risparmio di Orvieto esce dal controllo di BpB

Cassa di Risparmio di Orvieto esce dal controllo BpB

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Finisce il sodalizio tra la Cassa di risparmio di Orvieto e la Banca Popolare di Bari, iniziato nel 2021 quando l’istituto pugliese acquistò le quote di maggioranza della Cassa.  Da allora ad oggi di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchia, ma l’elemento più significativo è stato rappresentato dalla pessima gestione della Popolare, giunto nel 2019 ad un passo dal crac e salvata solo grazie al provvidenziale intervento dello Stato che l’aveva rilevata attraverso il Mediocredito Centrale. Adesso è proprio il piano industriale elaborato dal Mediocredito, guidato da Bernardo Mattarella, che prevede lo scorporo della banca orvietana dal corpaccione in forte sofferenza della Popolare di Bari.  La Cassa di risparmio passerà infatti sotto il controllo diretto del Mediocredito che ne acquisisce l’intera proprietà e provvederà ad una ripatrimonializzazione per farla operare sul mercato dell’Italia centrale mentre la Popolare sarà concentrata al sud.  

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Dopo un anno di commissariamento della Popolare, si è dunque deciso di separare i destini dei due istituti di credito con la banca pugliese che aveva finora detenuto oltre il 74% della Cassa di risparmio e di individuare due ambiti di mercato completamente diversi per le due aziende di credito. Per la Cassa di risparmio di Orvieto si fa anche riferimento ad una gestione del patrimonio immobiliare che potrà passare dalla vendita o dall’affitto per risparmiare i costi. Un aspetto ancora non molto chiaro, ma che sembra precludere ad una paventata dismissioni degli immobili di proprietà il più prestigioso dei quali è ovviamente rappresentato dalla sede centrale della banca, nella centralissima piazza di sant’Andrea. Il passaggio sotto il Mediocredito comporterà anche una nuova organizzazione interna per la Cassa di risparmio che sarà strutturata attraverso due unità di business, la capital light divisione  la tech and banking services. Pur essendo un piano industriale ancora da definire nei dettagli, i sindacati hanno accolto queste novità con un segnale di “cauta fiducia”.  Per la Cassa di risparmio di Orvieto l’ingresso del Mediocredito aveva comportato il mantenimento dei livelli occupazionali e la chiusura di alcune filiali sul territorio contro cui si erano inutilmente mobilitate le comunità interessate. 

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